15 gennaio 2019
La parola stella evoca in ognuno di noi qualcosa di vicinissimo malgrado
la lontananza siderale.
Qualcosa di famigliare nel suo freddo bagliore. La luce
stellare non evoca calore e tenerezza umani, ma un’arcana certezza di presenza. La stella
sopra di me è la chiave del mio esistere: un brillante messaggio “ti ho visto, esistiamo ambedue nel grande
nulla palpitante” .
Forse per questo abbiamo costruito mappe sicure tracciate con le stelle,
filastrocche infantili, poesie romantiche, miti guerrieri. Non è un caso che stanno sopra la
nostra testa. Alzare gli occhi per cercarle ci permette come il fiore del loto,
di uscire dallo stagno e riscaldarsi al sole. Non sappiamo che unione ci sia
tra le stelle, gli animali e il regno vegetale, ma sicuramente la vita con i suoi misteri scorre nella
luce notturna. Di notte l’esistenza cambia energia e significati.
Chi lavora di notte entra in un universo parallelo con creature diverse, ma in qualunque situazione l’uomo si rivolge alle stelle sentendosi un
po’ a casa, non più solo e perduto. Forse i nostri antenati sentivano le voci
stellari meglio di oggi dove le luci urbane e la tecnologia travestono la notte
e offuscano il firmamento.
Nel disegno dei bambini le stelline compaiono subito e li fanno
sorridere. Noi adulti entriamo nella dimensione magica delle stelle solo
raccontandole ai piccoli o quando siamo in stati di coscienza alterati come
l’innamoramento, l’abbandono, la solitudine o il misticismo.
La stella è un archetipo, ma non ce l’hanno rubato, è ancora scintillante nel buio come l’arma
magica che vince le tenebre.
Amo pensare alla grande chiamata, perché desidero
viaggiare tra le stelle o come energia o a capo di una potente nave stellare
come l’Arielvo.
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